19 luglio 2009

Il giorno in cui morì Vincenzo Parisi. Il 21/7/1992. L'ammutinamento della Polizia di Stato.

Da Corsera:"Bastardi! Eccovi i trenta denari! Traditori! Schifosi! Assassini!". Volano le monetine. Le bottigliette d' acqua minerale. I pacchetti di sigarette. Un mazzo di chiavi. Una scarpa. Uomini, donne, ragazzi, anziani pensionati ondeggiano, premono, piangono, stringono i pugni, si asciugano le lacrime, scalciano, sfondano, sputano, ripiegano, urlano: "Basta, non ne possiamo piu' ! Basta!". E l' una di notte e davanti al cancello della Prefettura, in questa tiepida serata straziata dall' orrore per la strage di via D' Amelio, esplode la rabbia furibonda, incontenibile, inconsolabile di centinaia di persone disperate. Sono palermitani che si ribellano all' ultima sfida della mafia, all' impotenza, alla rassegnazione. E insieme, impossibili da distinguere gli uni dagli altri, decine di amici e colleghi degli agenti di scorta assassinati. E una rivolta. Un ammutinamento. Esce il procuratore capo Pietro Giammanco. Intimorito. Teso. Pallidissimo. Tenta di salire su un' auto blu. Lo riconoscono: "Vattene, maledetto! Li hai ammazzati anche tu". Ritmano: "Via.Giammanco.dalla procura. Via.Giammanco.dalla procura". Spintoni. Sputi. Scarpate alla macchina. I poliziotti in divisa sono impacciatissimi: intervenire o no? Pugni sul finestrino. Insulti: "Mafioso! Amico dei mafiosi!". Il lampeggiante sul tettuccio della macchina viene strappato e scaraventato a terra. Due agenti li' accanto si girano dall' altra parte. Ecco Vincenzo Parisi, il capo della polizia. Impietrito. Le labbra serrate. Terreo. Lo sguardo nel vuoto. Non sa cosa dire. Non sa cosa fare. Se ne sta li' , sballottato tra carabinieri e poliziotti che tentano di ripararlo dal diluvio di monetine. Un agente si punta sulle gambe, da' una spallata tra la folla, travolge uno dei dimostranti e lo inchioda afferrandolo per il bavero contro un camioncino. Il giovanotto accalappiato si ribella: "Ma che cazzo fai? Sono dei vostri!". E l' altro: "Ma cosa pretendi? Qui non ci si capisce piu' niente". Un ragazzo tra i piu' esasperati viene bloccato e trascinato dentro: "Dacci i documenti". Subito gli si precipita dietro un gruppetto. Ci sono Galasso, Folena, Muzzio. Tutti parlamentari: "Mollate quel giovane o arrestate anche noi". Aurelio, un omone dalla barba rossiccia, piange senza ritegno: "E uno schifo, uno schifo... Ma come possono chiederci di avere fiducia? Hanno ammazzato anche noi questo pomeriggio. Hanno ammazzato Palermo. Ci hanno tolto ogni speranza. Noi non ce la facciamo piu' , capite?". Concetta: "Non ci devono venire, ai funerali. Non ci devono venire, i politici. Non devono piu' farsi vedere". Nino: "Le paghiamo noi, le bare. Non ci serve l' elemosina. Ci pensiamo noi, a Borsellino e ai nostri ragazzi. E gente nostra. Sono amici nostri. Anche mio fratello e' nel servizio scorte e questa sera avrei potuto vederlo steso fra le candeline. Bastardi. Gli ho detto: basta, vieni via. Molla tutto. Non devi morire per questo Stato di merda. Morire per Falcone o per Borsellino si' . Loro erano eroi. Erano i nostri eroi. Ma per questo Stato no. Perche' non merita la nostra pelle". Era cominciato tutto verso le otto di sera, davanti alla casa di Giovanni Falcone, dove la gente da due mesi ammucchia fiori, lettere e messaggi. Sembrava una scena del film "Il sole sorge alto". Quella del vecchio giudice pietoso che si incammina da solo, nel silenzio, sfidando il paese, dietro il calesse che porta la bara della vecchia prostituta infelice. Un esempio che via via spezza le paure di una persona, poi di due, di tre, di quattro. Finche' si muove tutto il villaggio. Riscoprendo finalmente la compattezza. L' amicizia. La solidarieta' . Erano partiti in poche decine da via Notarbartolo. Un rigagnolo di gente che risalendo via Liberta' si era ingrossato come un fiume. E aveva raccolto l' afflusso continuo di passanti che lasciavano il marciapiede, magari con la borsa delle spese in mano, per aggregarsi. Fino a diventare un corteo di un migliaio di persone che, passando sotto le finestre della questura, era stato rinvigorito dalla confluenza degli agenti delle scorte, che si erano mischiati alla protesta con gli occhi gonfi di pianto. Tutti qui, davanti alla prefettura. "Siamo carne da macello . dice Maurizio, che ha fatto parte delle scorte di Falcone e di Borsellino .. Non c' e' senso a morire per niente. Venerdi' sera il giudice era a cena in un ristorante di Roma senza scorta. Figurati se la mafia non lo sapeva. Avrebbero potuto ammazzarlo allora. Perche' invece hanno preferito questa strage? Perche' la Mafia voleva tutti questi morti. Per mostrare la sua forza in Sicilia. Per spaventare ancora di piu' la gente". "Basta con le scorte", decidono gli agenti. Si rifiutano di discutere. Non vogliono parlare neanche con Parisi: "Cosa gli diciamo?". E annunciano: "Domani ci autoconsegniamo tutti in caserma". E l' inizio di un braccio di ferro. Nella notte, il questore li esenta: tutti liberi, niente scorte. Contromossa: "Allora noi, per disobbedire lavoriamo normalmente". La mattina, i capelli arruffati e lo sguardo febbricitante, si ritrovano tutti in assemblea alla caserma "Lungaro", in corso Pisani. Porte chiuse. Niente giornalisti. Niente autorita' . Niente capi. Giovanni Candido, segretario provinciale del Siulp, spiega: "In queste condizioni, le scorte devono essere eliminate. A cosa serve una pistola o un giubbetto antiproiettile contro trenta chili di dinamite? Non e' che abbiamo paura. La nostra parte siamo pronti a farla fino in fondo, ma non vogliamo morire per niente". Anche i delegati sindacali, pero' , sono in difficolta' : troppo morbidi. Alla fine, dopo accese discussioni, prevale il buon senso. Il servizio scorte non si tira indietro. Ma chiede garanzie precise. Non si accontenta delle parole. Vuole fatti. Uomini. Mezzi. E inchioda il capo della polizia in una estenuante discussione. Vincenzo Parisi annuisce, si dice d' accordo: "Le scorte possono essere utili in situazioni ordinarie. Ma in queste occorre qualcos' altro. A partire da un diverso controllo del territorio". Quanto ai politici, meglio se restano alla larga: "Non e' vero che li abbiamo diffidati dal venire ai funerali . spiega Roberto, uno dei protagonisti dell' agitazione .. Ma l' altra volta, ai funerali degli amici morti con Falcone, molti di noi sono rimasti fuori dalla chiesa. Non deve piu' succedere. Non c' e' posto per chi vuole fare passerella e piangere lacrime di coccodrillo. Questi sono morti nostri. E li vogliamo piangere noi". Gian Antonio Stella

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