21 luglio 2009

Il Generale Peppino Santovito calunniato e accusato da una magistratura rossa che lo ha portato fino alla tomba.

Dopo le prime estenuanti quattro ore di interrogatorio, il generale Giuseppe Santovito, indiziato di reato per traffico d'armi, si è nuovamente ripresentato al giudice Carlo Palermo con due capienti valige: Probabilmente non contenevano indumenti, forse delle "carte". Nervoso e alquanto imbarazzato, l'ex capo del Sismi, il controspionaggio militare, ha dovuto affrontare così ieri pomeriggio un nuovo "tour de force". Domande su domande, con risposte ancora "riservate", ma in grado di far ritenere che l'inchiesta trentina sul traffico d'armi e le mediazioni illegali di tale business, porti molto lontano. Verso indagini che mirano a scardinare gli accordi - taciti e reciproci - che regolano il mercato degli armamenti, diretto da uomini d'affari senza scrupoli, da agenti segreti, forse perfino legato ai responsabili della sicurezza nazionale. Che, almeno nel passato, non sempre sono stati "immacolati". Varie indagini stanno cercando di dipanare l'aggrovigliata matassa dei "corpi separati" dello Stato, con indagini che sconfinano dall'inchiesta su "armi e droga" a quella sulla Loggia P2, per giungere ad ipotesi di corruzioni governative e tangenti politiche. Niente ancora di preciso, ma certe supposizioni fanno capolino con sempre maggiore insistenza. Per ora, sono comunque soltanto ipotesi. E proprio per chiarire queste cose, stamane a Trento è convocato (come teste) Vanni Nisticò, exresponsabile dell'ufficio stampa del Psi, carica ricoperta fino a quando il suo nome non è apparso negli elenchi della P2. Ma quale il legame fra gli inquisiti per traffico d'armi e i trascorsi di Vanni Nisticò? Difficile dirlo. Forse c'entrano i rapporti fra seguaci della Loggia di Licio Gelli, unioni che per gli inquirenti trentini non sono state casuali. Sia Massimo Pugliese - interrogato la scorsa settimana e messo in libertà provvisoria dopo un confronto con Rossano Brazzi e il gran maestro Armando Corona - che Giuseppe Santovito, si conoscevano. Assieme, avrebbero organizzato un "affare" in Somalia. "Una storia di banane", disse l'attore Rossano Brazzi. Qualcosa di più secondo gli inquirenti; qualcuno sussurra perfino armi e per giunta anche pesanti. A tarda sera, uscendo dall'ufficio del magistrato, Giuseppe Santovito non ha voluto minimamente affrontare i microfoni. Un riserbo che nulla chiarisce. Né i suoi legami con gli altri piduisti dell'inchiesta trentina, né i riscontri top-secret raccolti dal giudice Palermo. Certamente ci sono elementi nuovi, per ulteriori tronconi d'indagine che affondano le radici in inchieste mai chiuse. Come la vicenda (non chiarita, nemmeno da Giuseppe Santovito, che sicuramente ne sa qualcosa "per esigenze di servizio") della scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo, "dispersi"
in Libano, mentre indagavano sui traffici d'armi: Nessun cenno neanche a Vanni Nisticò, anche se quest'ultimo, in varie occasioni ha ammesso di conoscere bene l'ex capo del Sismi, proprio per mezzo dei loro legami con Gelli. Rapporti con il Venerabile che non dovevano essere stati solo "formali", se è vero che Vanni Nisticò si prodigò per presentare a "don" Licio persone di alto livello.

19 luglio 2009

Il giorno in cui morì Vincenzo Parisi. Il 21/7/1992. L'ammutinamento della Polizia di Stato.

Da Corsera:"Bastardi! Eccovi i trenta denari! Traditori! Schifosi! Assassini!". Volano le monetine. Le bottigliette d' acqua minerale. I pacchetti di sigarette. Un mazzo di chiavi. Una scarpa. Uomini, donne, ragazzi, anziani pensionati ondeggiano, premono, piangono, stringono i pugni, si asciugano le lacrime, scalciano, sfondano, sputano, ripiegano, urlano: "Basta, non ne possiamo piu' ! Basta!". E l' una di notte e davanti al cancello della Prefettura, in questa tiepida serata straziata dall' orrore per la strage di via D' Amelio, esplode la rabbia furibonda, incontenibile, inconsolabile di centinaia di persone disperate. Sono palermitani che si ribellano all' ultima sfida della mafia, all' impotenza, alla rassegnazione. E insieme, impossibili da distinguere gli uni dagli altri, decine di amici e colleghi degli agenti di scorta assassinati. E una rivolta. Un ammutinamento. Esce il procuratore capo Pietro Giammanco. Intimorito. Teso. Pallidissimo. Tenta di salire su un' auto blu. Lo riconoscono: "Vattene, maledetto! Li hai ammazzati anche tu". Ritmano: "Via.Giammanco.dalla procura. Via.Giammanco.dalla procura". Spintoni. Sputi. Scarpate alla macchina. I poliziotti in divisa sono impacciatissimi: intervenire o no? Pugni sul finestrino. Insulti: "Mafioso! Amico dei mafiosi!". Il lampeggiante sul tettuccio della macchina viene strappato e scaraventato a terra. Due agenti li' accanto si girano dall' altra parte. Ecco Vincenzo Parisi, il capo della polizia. Impietrito. Le labbra serrate. Terreo. Lo sguardo nel vuoto. Non sa cosa dire. Non sa cosa fare. Se ne sta li' , sballottato tra carabinieri e poliziotti che tentano di ripararlo dal diluvio di monetine. Un agente si punta sulle gambe, da' una spallata tra la folla, travolge uno dei dimostranti e lo inchioda afferrandolo per il bavero contro un camioncino. Il giovanotto accalappiato si ribella: "Ma che cazzo fai? Sono dei vostri!". E l' altro: "Ma cosa pretendi? Qui non ci si capisce piu' niente". Un ragazzo tra i piu' esasperati viene bloccato e trascinato dentro: "Dacci i documenti". Subito gli si precipita dietro un gruppetto. Ci sono Galasso, Folena, Muzzio. Tutti parlamentari: "Mollate quel giovane o arrestate anche noi". Aurelio, un omone dalla barba rossiccia, piange senza ritegno: "E uno schifo, uno schifo... Ma come possono chiederci di avere fiducia? Hanno ammazzato anche noi questo pomeriggio. Hanno ammazzato Palermo. Ci hanno tolto ogni speranza. Noi non ce la facciamo piu' , capite?". Concetta: "Non ci devono venire, ai funerali. Non ci devono venire, i politici. Non devono piu' farsi vedere". Nino: "Le paghiamo noi, le bare. Non ci serve l' elemosina. Ci pensiamo noi, a Borsellino e ai nostri ragazzi. E gente nostra. Sono amici nostri. Anche mio fratello e' nel servizio scorte e questa sera avrei potuto vederlo steso fra le candeline. Bastardi. Gli ho detto: basta, vieni via. Molla tutto. Non devi morire per questo Stato di merda. Morire per Falcone o per Borsellino si' . Loro erano eroi. Erano i nostri eroi. Ma per questo Stato no. Perche' non merita la nostra pelle". Era cominciato tutto verso le otto di sera, davanti alla casa di Giovanni Falcone, dove la gente da due mesi ammucchia fiori, lettere e messaggi. Sembrava una scena del film "Il sole sorge alto". Quella del vecchio giudice pietoso che si incammina da solo, nel silenzio, sfidando il paese, dietro il calesse che porta la bara della vecchia prostituta infelice. Un esempio che via via spezza le paure di una persona, poi di due, di tre, di quattro. Finche' si muove tutto il villaggio. Riscoprendo finalmente la compattezza. L' amicizia. La solidarieta' . Erano partiti in poche decine da via Notarbartolo. Un rigagnolo di gente che risalendo via Liberta' si era ingrossato come un fiume. E aveva raccolto l' afflusso continuo di passanti che lasciavano il marciapiede, magari con la borsa delle spese in mano, per aggregarsi. Fino a diventare un corteo di un migliaio di persone che, passando sotto le finestre della questura, era stato rinvigorito dalla confluenza degli agenti delle scorte, che si erano mischiati alla protesta con gli occhi gonfi di pianto. Tutti qui, davanti alla prefettura. "Siamo carne da macello . dice Maurizio, che ha fatto parte delle scorte di Falcone e di Borsellino .. Non c' e' senso a morire per niente. Venerdi' sera il giudice era a cena in un ristorante di Roma senza scorta. Figurati se la mafia non lo sapeva. Avrebbero potuto ammazzarlo allora. Perche' invece hanno preferito questa strage? Perche' la Mafia voleva tutti questi morti. Per mostrare la sua forza in Sicilia. Per spaventare ancora di piu' la gente". "Basta con le scorte", decidono gli agenti. Si rifiutano di discutere. Non vogliono parlare neanche con Parisi: "Cosa gli diciamo?". E annunciano: "Domani ci autoconsegniamo tutti in caserma". E l' inizio di un braccio di ferro. Nella notte, il questore li esenta: tutti liberi, niente scorte. Contromossa: "Allora noi, per disobbedire lavoriamo normalmente". La mattina, i capelli arruffati e lo sguardo febbricitante, si ritrovano tutti in assemblea alla caserma "Lungaro", in corso Pisani. Porte chiuse. Niente giornalisti. Niente autorita' . Niente capi. Giovanni Candido, segretario provinciale del Siulp, spiega: "In queste condizioni, le scorte devono essere eliminate. A cosa serve una pistola o un giubbetto antiproiettile contro trenta chili di dinamite? Non e' che abbiamo paura. La nostra parte siamo pronti a farla fino in fondo, ma non vogliamo morire per niente". Anche i delegati sindacali, pero' , sono in difficolta' : troppo morbidi. Alla fine, dopo accese discussioni, prevale il buon senso. Il servizio scorte non si tira indietro. Ma chiede garanzie precise. Non si accontenta delle parole. Vuole fatti. Uomini. Mezzi. E inchioda il capo della polizia in una estenuante discussione. Vincenzo Parisi annuisce, si dice d' accordo: "Le scorte possono essere utili in situazioni ordinarie. Ma in queste occorre qualcos' altro. A partire da un diverso controllo del territorio". Quanto ai politici, meglio se restano alla larga: "Non e' vero che li abbiamo diffidati dal venire ai funerali . spiega Roberto, uno dei protagonisti dell' agitazione .. Ma l' altra volta, ai funerali degli amici morti con Falcone, molti di noi sono rimasti fuori dalla chiesa. Non deve piu' succedere. Non c' e' posto per chi vuole fare passerella e piangere lacrime di coccodrillo. Questi sono morti nostri. E li vogliamo piangere noi". Gian Antonio Stella

Bettino Craxi: Discorso alla Camera dei Deputati del 29 Aprile 1993. Nessuno replicò!

“C’è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. E’ tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei Partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile. Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso e in certi casi hanno tutto il sapore della menzogna. Si e’ diffusa nel paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica, uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale, ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità. Purtroppo anche nella vita dei Partiti molto spesso e’ difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette sia per la impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E così all’ombra di un finanziamento irregolare ai Partiti e, ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti trattati provati e giudicati. E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, e’ che buona parte del finanziamento politico e’ irregolare od illegale. I Partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo (ndr. nessuno si alzò): presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.”…

“… la mia libertà equivale alla mia vita”.

Con grande forza e orgoglio rivendichiamo il nostro passato: le vittorie e le sconfitte, le conquiste e gli errori.

Un passato che, nonostante le attuali difficoltà del PS in Italia, è una solida colonna del nostro presente: è soprattutto grazie all’opera democratica ed europeista di Bettino Craxi che il Socialismo Europeo affonda le sue radici nel Socialismo Italiano.

Anche per questo il PS deve essere maggiormente consapevole del suo patrimonio politico e culturale, evitando di lasciare ad altri la possibilità di fregiarsi del nostro passato, a volte persino rispolverando alcune delle nostre idee in chiave programmatiche e politica.

Siamo coscienti che non possiamo fermarci esclusivamente a rileggere la nostra storia ma è comunque necessario accompagnare l’azione politica e programmatica di rilancio del PS anche con la ricchezza della nostra cultura.

L’Italia non ha bisogno dei “nuovismi” di una vecchia oligarchia o di patti etici figli dell’ipocrisia ma di una forte spinta socialista, europeista, liberale e democratica.

“Che Craxi sia un uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte Andreotti glielo ha riempito e porto. E per due volte lui lo ha bevuto”. (Indro Montanelli )

CITAZIONI

"Il Governo italiano ha sempre condotto con la massima intransigenza la lotta al terrorismo ed i risultati sin qui conseguiti lo dimostrano. Nessun governo libero al mondo ha saputo conseguire decisivi risultati nella lotta al terrorismo, senza distruggere i principi e le regole dello stato di diritto, così come hanno saputo fare i governi della Repubblica Italiana. Non c'è un caso di cedimento, o di debolezza che possa essere imputato a questo Governo, nella lotta al terrorismo". (B.C.)


Il Boeing 737 di Sigonella. Io c'ero. E' stato il giorno più bello ed orgoglioso della mia vita. Grazie Presidente Craxi.

Abu Abbas era su un Boeing 737 egiziano con destinazione Tunisi o Algeri. Con lui, quel 10 ottobre 1985, i 4 palestinesi che avevano sequestrato la nave da crociera Achille Lauro (uccidendo un disabile americano), la sua guardia del corpo, un diplomatico egiziano, 10 agenti dell'intelligence egiziana e 6 uomini dell'equipaggio: Abbas era fra i leader OLP di Yasser Arafat.

Abbas avrebbe fatto da mediatore per la liberazione degli ostaggi nell'Achille Lauro in cambio dell'impunità per i 4 palestinesi, ma a mezz'ora dal decollo l'aereo fu affiancato da quattro F-14 americani: al Presidente del Consiglio Craxi una chiamata dalla Casa Bianca ordina di dirottare il Boeing sulla base Nato di Sigonella (Sicilia). A Fulvio Martini (capo del Sismi) è affidato l'incarico di seguire la vicenda.

L'aereo atterra a Sigonella e 250 uomini, fra avieri di leva e carabinieri, lo circondano, mentre l'aeroporto viene oscurato, ma degli F-14 neanche l'ombra: al loro posto due C-141 Lockheed da trasporto che (a luci spente), senza, permesso, scendono a terra alle 24.15, a due ore e un quarto dal decollo.

Sbarcano 50 teste di cuoio Delta Force sfidano avieri e carabinieri circondandoli: non scherzano, sono armate da capo a piedi al comando del generale di brigata Carl W. Stiner. L'obiettivo è di prelevare i 4 palestinesi, lo stesso Abbas e portarli in America, ordini di Reagan.

Ma giungono altri carabinieri che circondano gli americani, sono arrivati dalle vicine Catania e Siracusa, Craxi vuole che gli uomini sull'aereo siano processati in Italia: Martini si affida al capitano Marzo che fa posteggiare un'autocisterna dinanzi al velivolo onde impedirgli definitivamente di muoversi dalla base. Il colonnello Ercolano Annichiarico, intanto, cerca il dialogo con Stiner, ma fra loro volano insulti.

Italiani e statunitensi giungono al contatto fisico, puntano le armi, si minacciano a vicenda, le guardie egiziane sull'aereo sono pronte a respingere eventuali assalti americani. Stiner avverte di essere in contatto con lo Studio Ovale e tenta il bluff: "Il Governo Italiano ha promesso di consegnarci i palestinesi, non capisco la resistenza di voi militari". Ma non è così, da Roma Craxi tiene in guardia Martini, è un tranello.

Alle 2.00 Reagan telefona, chiede personalmente la consegna dei quattro uomini, ma Craxi risponde con un 2 di picche; alle 3.00 Stiner minaccia nuovamente: "Sgomberare o faccio disarmare i suoi uomini", ma si rende conto di non poter tenere testa agli italiani, Reagan chiede il rientro dei C-141 e della Delta Force. La tensione fra Italia e Stati Uniti era alle stelle, lo scontro fra i due Paesi non era mai stato così aspro da quando sono alleati.

Un Mystere dei nostri servizi segreti arriva a Sigonella da Roma. Sono le 16.30 dell'11 ottobre e a bordo c'è l'ammiraglio Martini che avverte i subalterni: "Stiner è ancora lì, nella base Usa e gli americani ci [...] spiano. Siamo intercettati a tutti i livelli". I contatti fra Roma e Sicilia avvengono dai telefoni della Galleria Colonna, perfino Craxi usa una cabina pubblica.

Ma ecco riapparire sulla pista di Sigonella Stiner a bordo di un T-39 minacciando di bloccare il decollo del Mystere e dei 4 caccia F-104 incaricati di scortare il Boeing alla volta della Capitale alle 22.00.
I caccia partono ugualmente, ma il T-39, affiancato da un F-14 della Sesta Flotta, si lanciano all'inseguimento tentando il dirottamento, i piloti italiani accettano la sfida ala contro ala a 10 Km di quota fino a quando gli americani non cedono ancora.

L'invitto Stiner allora perviene all'Aeroporto di Ciampino ponendosi davanti al Boeing, di traverso. Interviene, quindi, l'ammiraglio Martini preannunziando di spazzare via il T-39 con un bulldozer; i suoi modi sembrano convincenti, gli americani riprendono il volo per non tornare più.
Alla base dell'atteggiamento del Governo c'era un accordo segreto che, grazie ad Aldo Moro, preservava l'Italia dal terrorismo islamico

LA VERGOGNA INDELEBILE DELL'ITALIA.

BETTINO CRAXI PICCOLA BIOGRAFIA-